Sguardi – La cultura del lavoro dei migranti tra stereotipi e prospettive

Sguardi si configura come un’attività di ricerca che ha fornito opportunità di educazione permanente e di socializzazione attraverso percorsi personali di apprendimento con la modalità dei circoli di studio.
Le linee guida di svolgimento:
– la condivisione fra gruppi di lavoratrici e lavoratori dei diversi Paesi presenti nel territorio pratese sul significato e sul valore che le diverse culture assegnano al lavoro;
– la riflessione sul diritto al lavoro svolto in sicurezza come mezzo di realizzazione personale e di partecipazione attiva alla costruzione della società;
– l’attenzione rivolta al contesto socio economico locale come presa di coscienza della realtà nella quale i partecipanti si muovono e con la quale attivare un dialogo positivo.

“Sguardi” che aprono la via non solo al superamento di pregiudizi e all’inclusione sociale grazie al confronto tra culture, ma che favoriscono anche lo sviluppo di comunità di pratiche in un’ottica di affermazione della legalità. Tra i 92 partecipanti iscritti agli 8 circoli realizzati, la partecipazione delle persone immigrate è stata pari al 75%, mentre gli adulti italiani rappresentano il 25% del totale.

Ci siamo avvicinati al tema del bando provinciale (Aumentare la partecipazione dei cittadini adulti stranieri ad iniziative di formazione volte allo sviluppo delle competenze chiave necessarie alla realizzazione e allo sviluppo personale, alla cittadinanza attiva, all’inclusione sociale e all’occupazione) con l’attenzione che richiede un argomento complesso e molteplice quale è quello dell’immigrazione e del rapporto con il lavoro, ma anche con il desiderio e la speranza di fornire degli strumenti per un percorso di educazione permanente che potesse dare dei risultati nell’immediato e a lungo termine.
Per questo, in via preliminare, abbiamo avviato dei contatti con Enti e Associazioni che, nel territorio, sono attive e hanno maturato esperienze su questo tema. Con loro abbiamo mappato, nelle linee essenziali, il fenomeno migratorio della provincia di Prato. Con la convinzione che l’impegno al quale ci accingevamo richiedeva fluidità relazionale e flessibilità cognitiva per comprendere meglio la natura dei bisogni e la direzione da intraprendere per poterli, almeno in parte, soddisfare.
L’ipotesi di lavoro che abbiamo costruito insieme si è focalizzata sul contesto socio-economico locale: una lettura attenta della realtà nella quale gli immigrati vivono. A partire da questa, l’obiettivo è stato di attivare un dialogo per individuare, con il loro aiuto, le modalità più idonee a sostenere le potenzialità esistenziali e comunicative.
La nostra proposta si è tradotta nella messa in opera di laboratori di apprendimento nei quali confluissero, parallelamente al nostro bagaglio culturale, la loro memoria personale e collettiva, i dati che riguardano la loro esistenza, le loro storie, il serbatoio emotivo e razionale che consolida l’identità e giustifica la presenza nel mondo. L’insieme di questi stimoli informativi avrebbe costituito uno spazio libero nel quale esercitare la riflessione critica per elaborare nuove conoscenze in modo aperto e flessibile. Un pensiero nuovo che fiorisse dal basso e favorisse l’acquisizione di strumenti di analisi e di lettura dei propri vissuti e delle proprie situazioni esistenziali, per sviluppare ulteriori capacità e attivare autonomamente comportamenti adeguati al loro contesto di vita.
Ne è derivata un’ellissi con due fuochi dai quali muovere. Il primo è stato l’ottica dell’integrazione e dello scambio culturale per l’innalzamento dei livelli di coesione sociale. Il focus multietnico ci ricorda che Prato è una fra le città d’Italia a più alto tasso di immigrazione con il 17,36% (33.158) della popolazione residente (190.992), secondo le ultime statistiche dell’anagrafe comunale. È un fenomeno che non può essere solo subìto, né può essere vissuto come una sorta di ferita aperta nel tessuto della “pratesità”. Analisi, studi, affermano che Prato, meglio di altri territori, ha risposto a questa situazione; il territorio è stato in grado di creare anticorpi che hanno evitato forme improprie di convivenza; ha implicato, nel proprio ordito storico, realtà culturali sconosciute. Tuttavia non mancano resistenze e riluttanze che invitano a vigilare e a trasformare quello che appare agli occhi di molti ancora “un problema da risolvere”, in un’opportunità di crescita culturale e umana.
Il secondo è stato quello del lavoro. Nello specifico il bando fa riferimento ai temi della sicurezza e del diritto del lavoro per cittadini italiani e stranieri. Sono temi che coinvolgono, in questa fase di contrazione del lavoro e di profonda crisi economica e produttiva, l’intero Paese. Secondo le statistiche INAIL, in Italia, il numero di morti sul lavoro è diminuito dagli anni sessanta ad oggi ma l’andamento di questa riduzione è meno confortante che in altri Paesi industrializzati. Negli ultimi dieci anni, gli infortuni mortali nell’Unione Europea sono diminuiti, in media, del 29,41%, mentre in Italia solo del 25,49%. L’Italia, nel decennio 1996-2005, è risultato il paese con il più alto numero di morti sul lavoro in Europa.
I dati dal fronte dell’occupazione non sono più confortanti se, come afferma uno studio di Confindustria, nel 2012 avrebbero chiuso i battenti oltre mille aziende al giorno e i disoccupati si avvicina al 13% della popolazione attiva; quella giovanile supera il 40%. La più alta dal 1992, anno in cui sono iniziati rilevamenti. La Cassa Integrazione, rispetto al 2011 registra un incremento del 12%; il 2012 è stato il secondo peggior anno (dopo il 2010) dal 1980 – anno di inizio delle serie storiche – in termini di ricorso alla cassa integrazione.
E a Prato? “Al 31 dicembre 2009 lo stock di iscritti alla disoccupazione presso i Servizi per l’Impiego della provincia di Prato (persone che hanno dichiarato l’immediata disponibilità al lavoro ai sensi del D.Lgs. 181/2000) è pari a 26.084 lavoratori, di cui 10.350 maschi e 15.734 femmine. Se rapportiamo questo dato alla popolazione residente in età considerata economicamente attiva (15-64 anni) si calcola un tasso grezzo di disoccupazione pari a circa il 16,0% (maschi 12,7%, femmine 19,4%). Mentre il tasso grezzo di disoccupazione per gli stranieri è pari al 17,8%, superiore di due punti percentuali a quello calcolato per i soli italiani 15,7%”.
Qualunque sia il focus adottato ci troviamo di fronte a una criticità sulla quale riflettere per individuare e per proporre risposte condivise e coerenti con le caratteristiche del territorio. Possono percorsi formativi non formali intervenire in modo positivo su questo tessuto? Fino a che punto? Con quali aspettative? E come?
Sono state le domande che ci hanno guidato in fase di progettazione. Per evitare atteggiamenti velleitari o inutili scoramenti. L’educazione permanente non risolve il problema del lavoro. Offre una risposta a altri bisogni, contigui a quelli del lavoro e della convivenza civile, concorre ad un innalzamento della qualità di vita e di consapevolezza civile insieme ad altri attori (politiche del lavoro, politiche sociali, leggi sulla sicurezza, ecc.) ma senza sostituirli.
“Sguardi” – appunto – per capire, per svelare, per coinvolgere, per aprire la via al superamento di pregiudizi e che favoriscono lo sviluppo di una comunità disponibile a un confronto costruttivo.
Damiano D. Romagnoli
Le tematiche affrontate sono quelle espresse dall’avviso pubblico a cui il progetto ha risposto: il lavoro, gli aspetti strettamente legati alla sicurezza sul lavoro, la legalità, le normative che regolano il lavoro sia autonomo che subordinato. Il lavoro visto e considerato secondo le diverse culture e messo a confronto con la visione del lavoro in Italia: valori, vincoli, problemi incontrati.